Le parole creano davvero la nostra realtà?
L’identità è un aspetto importante della crescita psicologica, ma diventa nel contempo il più grande ostacolo di una crescita spirituale.
In adolescenza, quando muoviamo i primi passi da soli nel mondo, occorre costruire un “Io piccolo”, come il filologo Igor Sibaldi soprannomina l’identità, una specie di biglietto da visita attraverso il quale mostrarci agli altri.
L’Io piccolo ha il compito di farci adattare alla realtà fisica, ci insegna a conformarci alle regole e alle convenzioni società per integrarci.
Nella prima parte della nostra vita è importante immergerci profondamente nel mondo, credendo a tutto quello che vediamo.
Sono convinta, però, che arrivi un momento della vita adulta in cui il nostro compito sia quello di districarci gradualmente dalla ragnatela che è la realtà fisica, nella quale siamo immischiati fino al collo, e di cominciare a indagare una realtà invisibile più autentica.
Se lo permettiamo, facciamo spazio a una parte di noi nuova, l’Io grande, più creativa, potente e intuitiva.
Questo impulso da principio può agire in maniera lieve, come una voce quasi impercettibile; se lo reprimiamo, aumenterà via via di volume fino a metterci con le spalle al muro: è a quel punto che attraverseremo la notte oscura dell’anima.
Nel frattempo, l’Io piccolo resta aggrappato con le unghie e con i denti all’identità, teme che perdendola, lui e il mondo intorno si sgretolino.
L’identità, però, ci è funzionale fintantoché recitiamo il nostro ruolo nel mondo.
Quando quel ruolo comincia a starci stretto o è il mondo intorno che diventa soffocante e insensato, è tempo di guardare da una nuova prospettiva.
E avvertiamo il bisogno di una crescita spirituale.
L’Io piccolo non è creativo. Non ha bisogno di creare la realtà consapevolmente. Il suo compito principale è quello di costruire, tassello, dopo tassello, la sua identità.
Mi chiamo tal dei tali, sono italiano, sono un architetto, mi piace il calcio, detesto le olive, amo visitare i musei d’arte, credo che i soldi si facciano solo con il duro lavoro, prima o poi gli amici ti tradiscono, non sono portato per i lavorii manuali, e via dicendo
E quei tasselli diventeranno piano piano i confini del suo mondo.
Una volta che ha costruito l’identità, il compito dell’Io piccolo sarà quello di difenderla, costi quel che costi, e di trovare continue conferme dentro di sé, attraverso il suo dialogo interiore, e all’esterno.
Lui non deve creare la realtà; gli basta seguire il corso degli eventi, andare incontro al suo destino che è determinato da ciò in cui crede profondamente.
Le parole che usiamo, sia quelle che rivolgiamo agli altri, sia quelle che diciamo a noi stessi, rivelano le nostre convinzioni più radicate.
Quando si dice:"le parole creano il mondo” s’intende questo. Ma anche di più.
L’Io piccolo ha un unico reale potere: dirigere l’attenzione.
Come una torcia, la sua attenzione dell’Io illumina una zona d’ombra della realtà fino a quel momento rimasta latente, come una possibilità fra tante, e le darà forma.
Non lo fa quasi mai con consapevolezza; saranno le sue aspettative a creare la realtà fisica.
E le sue aspettative sono conseguenza di ciò in cui crede.
Se tal dei tali è convinto che i gli amici tradiscono sempre, si metterà in condizione di vivere quella situazione ogni volta, perché la cosa più importante è trovare una conferma e consolidare il suo Io piccolo, la sua identità.
Chi associa una malattia a una guerra, come vivrà quel momento?
Una mia ex vicina di casa usava lamentarsi spesso di portare tutto il peso degli altri su di sé. In effetti, lei non se rendeva conto, ma negli anni aveva assunto una posizione ingobbita, camminava con la schiena ricurva, pur non avendo nessun problema fisico.
L’Io piccolo crede ciecamente alla sua realtà. Se è convinto di dover lottare contro qualcuno o ina situazione, trasformerà ogni evento in un conflitto.
Poi, può capitare che si ritrovi fra le mani un libro in cui c’è scritto che l’immaginazione e i desideri creano la realtà.
In un primo momento si entusiasmerà all’idea, specie se vuole uscire da una condizione difficile nella quale si è infilato; a poco a poco quello stesso entusiasmo comincerà a spegnersi.
L’immaginazione è una caratteristica dell’Io grande, per cui non è vista di buon occhio dall’Io piccolo.
In aggiunta, dare troppa valenza ai desideri, per lui vorrebbe dire perdere solidità, sottrarre energia ai suoi tanto amati drammi.
L’Io piccolo non ammetterà mai che la sua realtà possa cambiare così facilmente, dopo una vita trascorsa nelle difficoltà.
Man mano che comincia a praticare esercizi di meditazione o di visualizzazione, l’Io piccolo sentirà di stare perdendo il terreno sotto i piedi.
Se ha creduto per una vita intera che quella situazione fosse faticosa come una lotta, la soluzione non potrà arrivare in modo semplice e immediato.
Questo non sarebbe in sintonia con le sue convinzioni.
Per quanto debba faticare, la cosa più importante per lui è trovare una conferma esterna e poi, eventualmente, superare il suo problema.
L’unica realtà a cui può dare forma sarà quella che rafforza le sue aspettative.
Per questa ragione sostengo che l’identità sia utile nel primo periodo della vita, ma che in seguito andrebbe presa meno sul serio.
A quel punto, l’unico modo per creare una realtà diversa da quella prevista dal destino è alimentare il desiderio finché non diventi più forte delle convinzioni, delle abitudini mentali e delle aspettative.
Quello che desideriamo deve acquisire una forza attrattiva tale che non c’interessa più di niente, della logica, delle convinzioni, di cosa e come accadrà.
Vogliamo solo che la vita prenda quella nuova direzione che abbiamo immaginato e che ci siamo permessi di desiderare, in un attimo in cui l’Io piccolo aveva mollato la presa.
Questo non vuol dire rinunciare a chi siamo noi e ai nostri scopi più nobili.
Significa ammettere la possibilità che la realtà non sia così solida, rigida, faticosa e prevedibile come abbiamo creduto finora.
Che l’unico modo per arrivare a B partendo da A non sia attraverso la lotta, la fatica o la sofferenza.
Per farlo, per riuscire a cambiare, dobbiamo rinunciare a qualcosa: a quei pezzetti della nostra identità responsabili delle difficoltà che stiamo vivendo; agli attaccamenti, all’immagine che abbiamo di noi stessi.
Se siamo stanchi di vivere la vita come fosse una battaglia continua, se desideriamo un’evoluzione più armoniosa, dobbiamo fare lo sforzo di cambiare le parole che usiamo. Ogni volta.
Così facendo, cambieremo gradualmente la nostra identità, passando dall’essere tal dei tali che vive quella condizione come una lotta faticosa a tal dei tali che fa progressi con facilità.
Anziché attirare nemici, attacchi e agguati, attrarremo opportunità, stimoli e colpi di fortuna.
E poiché le convinzioni dell’Io piccolo hanno un vantaggio di anni, è necessario alimentare le nuove idee e credenze a lungo, con costanza e fiducia.
Neville Goddard dice che dobbiamo saturare la mente con ciò che desideriamo, immaginando e immaginando ogni sera, cambiando il nostro modo di parlar durante il giorno.
Quando scegliamo le parole con consapevolezza, sapendo chiaramente dove vogliamo arrivare, ci sembrerà di avere la realtà più sotto il nostro controllo.
È un atto di fiducia, specie all’inizio.
E sì, incontreremo qualcuno a cui non starà bene il nostro cambiamento. Perché se è abituato a vederci in un certo modo, a sentirci parlare in un certo modo, sarà infastidito da questo cambiamento repentino; potrebbe mettere a rischio anche la sua identità e le sue convinzioni più profonde.
L’Io piccolo è il pilastro della realtà fisica; l’Io grande crea la realtà ogni singolo momento come desidera.
L’Io piccolo crede nelle regole condivise e nella logica: l’Io grande è intuitivo, sa che può arrivare là, perché lo sente dentro, anche se non sa spiegare come farà.
Sono due aspetti che convivono in noi, ma spetta a noi scegliere quale dei due rendere predominante, a quale dare potere.
In effetti le parole creano la realtà in cui viviamo, ma quasi sempre sono parole che non scegliamo consapevolmente. Sono dettate da anni di abitudini mentali e dalla nostre credenze più profonde.
Le parole che pronunciamo ormai abitualmente creano una realtà prevedibile.
Parole nuove e creative danno forma a una realtà nuova, latente, ancora invisibile, in attesa di essere illuminata dalla nostra attenzione.