La flatulenza del mio cane o del ritmo nella scrittura
Il mio cane soffre di flatulenza da quando è nato. E non è una sottigliezza quando abiti al quarto piano di un palazzone che ha due cubicoli al posto degli ascensori. Quel che è peggio è che gli ascensori risalgono agli anni '80 e hanno quello sgradevole difetto di saltare ogni volta che partono o che si fermano.
Se a prenderlo siamo in due condòmini, tutta la nostra concentrazione è diretta a mostrare nonchalance, ma sappiamo bene entrambi che è pura finzione.
Se a prenderlo sono io, da sola, mi piazzo al centro dell'ascensore, i piedi ben saldi sul pavimento e trattengo il respiro finché non è partito.
Ma se a prenderlo è Ettore (il mio cane) le cose si complicano. Il sobbalzo gli procura uno spostamento d'aria nel suo intestino che finisce, immancabilmente, in un silenzioso, pestilenziale sfiato.
Stamattina ho faticato a svegliarmi. Mi sono trascinata da una stanza all'altra col tasto del rallentatore premuto. A ritmo di rumba ho fatto colazione. Mentre Ettore aveva già rosicchiato la sua vecchia ciabatta, ripulito la ciotola e corso per il corridoio tre o quattro volte festoso, mi sono vestita. Lui impaziente di fare la sua passeggiata, io di averla fatta.
Saliamo in ascensore e non faccio in tempo a sbadigliare che lui sfiata. Puntuale come il bollo dell'auto. La mia speranza di non trovare nessuno ad attenderci al pianoterra si esaurisce nei cinque secondi seguenti, quando le porte scorrevoli rivelano ghignanti chi ci stava aspettando: la signora L.
La signora L. è la mia dirimpettaia, la più snob e pettegola condomina del palazzo. Il sorriso che mi rivolge, mentre entra nell'ascensore, esprime tutta la voglia che ha di attaccare bottone.
Rossa dall'imbarazzo, scrollo con decisione le mie articolazioni ancora intorpidite. Schiaccio il tasto velocità massima. A ritmo di polka traino Ettore fuori dal portone. Non dò alla mia vicina nemmeno il tempo di un respiro. Quello fatale.
E dopo aver rimbrottato Ettore per la brutta figura, penso a come a volte sia essenziale cambiare ritmo.
Dare ritmo alla scrittura
Un testo scritto ha un suo ritmo, proprio come ce l'ha una canzone. Le parole hanno un suono che le contraddistingue. Perfino le lettere, da sole, trasmettono delle impressioni. Alcune suonano più dolcemente; altre, invece, con durezza.
GA o CA hanno un suono duro, ma si addolciscono quando diventano GI e CI. La A esprime pienezza, mentre la I dà un senso di chiarezza. La L e la M sono morbide; la Z invece è arcigna.
La scrittura è come la creta: uno strumento malleabile che puoi plasmare a tuo piacimento. Non si dovrebbe mai scrivere in modo automatico, lasciarsi trasportare dalle parole. La scrittura dovrebbe essere sempre (o quasi sempre) un atto consapevole.
Le parole sono argilla. Le maneggiamo con cura mentre creano frasi che diventano poi il nostro testo. È un lavoro di cesello e noi, quando scriviamo, diventiamo artigiani.
Con le parole si può e si deve giocare. Puoi usare allitterazioni, scrivere periodi lunghi, alternati a frasi brevi, divertirti con suoni curvi e spigolosi. Come scrittore sei tu a dare un ritmo e una musicalità al testo.
Se vuoi essereincalzantepuoi scrivere frasi brevi, descrizioni intense e punteggiatura incisiva. Al contrario, se il tuo intento è creare suspense e rallentare il ritmo,allora puoi allungare i periodi e dare descrizioni più particolareggiate.
Il lettore respira a ritmo delle tue parole. Se scrivi una storia con frasi brevi non gli dai tregua. Viceversa se lo scritto è pieno di lunghi e noiosi periodi, molto probabilmente sbadiglierà dopo alcune righe.
Un consiglio? Aiutati con la voce. Leggi a voce alta il tuo testo e senti come suona.