La quantità ha sostituito la qualità

 

Scrivo per il web da molti anni. Ho cominciato casualmente, sono partita da una collaborazione con una piattaforma di quelle come Melascrivi che oggi non esiste più.

A quei tempi anche questi siti pagavano un articolo piuttosto bene.

Mi divertivo così tanto a scrivere di argomenti diversi che ho deciso di studiare e trasformare quella passione in un lavoro.

Non era una professione così diffusa, tant’è che non esisteva un nome in italiano per definirla.

Io, a quei tempi, mi proponevo come web writer. Ho iniziato studiando la scrittura professionale e la scrittura per il web e ho così imparato che il lettore su internet è diverso da quello che legge la carta stampata.

I contenuti pubblicati nel web dovevano perciò seguire una struttura differente che non faticasse il navigatore, che gli desse ciò che voleva, possibilmente in tempi brevi.

Ho capito quasi subito che queste competenze non sarebbero bastate.

I testi scritti su internet dovevano possedere altri requisiti importanti, perché oltre a essere destinati al lettore, dovevano essere ottimizzati per la SEO e promossi dall’algoritmo.

Negli anni ho visto cambiare molto la maniera di scrivere per Google, passare dalla mania delle keywords alla lunghezza dei testi fino alla cura della qualità, delle immagini.

All’epoca scrivevo ancora sia per il lettore sia per l’algoritmo; la cosa non mi dispiaceva affatto, perché rendeva questo lavoro più creativo e stimolante.

Dovevo infilare le parole chiave nei posti giusti senza snaturare il discorso e questo richiedeva destrezza e creatività.

Poi, scrivere solamente articoli informativi cominciava a starmi stretto e ho scelto di avvicinarmi al copywriting e, in seguito, al personal branding.

Ho divorato parecchi libri, ho seguito corsi accreditati, italiani e americani (ho perfino seguito un corso avanzato di grammatica inglese, pur sapendo che avrei scritto sempre in italiano, per comprendere meglio le differenze fra le diverse regole grammaticali).

Tuttora continuo a studiare qualsiasi argomento relativo alla scrittura e alla lingua italiana, perché per me è più di un lavoro, è una passione autentica.

In questi anni ho avuto la possibilità di accumulare esperienze diverse, mettermi in gioco in tanti modi.

Io mi stanco facilmente dei compiti ripetitivi, in questo lavoro ho trovato l’opportunità di diversificare, passare dalla scrittura creativa alla stesura di articoli diversi, alla promozione di un prodotto.

Ho scritto per molti committenti diversi, sia privati, sia agenzie di comunicazione; ho collaborato con liber professionisti, e-commerce, case editrici, commercianti, giornali online, alcuni anche rinomati.

Ho potuto scrivere di tutto, da come curare le ragadi con rimedi naturali ai gioielli di lusso. Ho scritto per promuovere le stufe a legno e gli accessori di alta moda.

Da quando ho mosso i primi passi fino ad oggi sono cambiate tante cose, ma c’è un momento ben preciso che ha fatto da spartiacque nel mio lavoro, e forse non solo: il periodo del Covid.

Durante il lockdown, quando gran parte delle persone era segregata in casa inoccupata, io al contrario ho lavorato molto.

È normale, perché quasi tutti erano collegati online e leggevano qualsiasi contenuto.

In quei mesi è capitato qualcosa che ha cambiato radicalmente il mio ambito professionale: il lavoro fra le mura domestiche, che fosse smart working oppure home working, è diventato noto a tante, molte più persone.

La possibilità di lavorare comodamente da casa, guadagnare dei soldi nel web ha cominciato ad allettare sempre più italiani.

Nello stesso tempo i mesi di reclusione in casa hanno provocato una paura profonda e inconscia in tanti individui; hanno suscitato in loro un trauma enorme, una nuova precarietà, non solo dal punto di vista fisico, ma anche da quello economico.

Oltre ai giovani, che si sono sempre più interessati ai lavori online, anche le persone più grandi hanno scoperto questa possibilità, chi aveva perso il suo impiego durante la quarantena o le madri e mogli che volevano integrare lo stipendio del marito.

Il mio lavoro ha cominciato a diventare via via più popolare.

È aumentata la domanda; nel giro di poco tempo sempre più persone hanno iniziato a candidarsi per pochi soldi, a volte anche gratuitamente, pur non avendo studiato e acquisito le competenze necessarie.

La concorrenza è aumentata di punto in bianco, mettendo in molti casi l’esperienza e la qualità in secondo piano.

I committenti hanno cominciato a chiedermi con più insistenza quanto chiedessi e sempre meno quanta esperienza avessi.

I numeri e le visualizzazioni hanno a poco a poco sostituito la qualità de testi. È facile constatarlo, perché sempre più articoli sono scritti male, confusi, scopiazzati da altri testi, sgrammaticati, privi di fondamenta.

Non conta quasi più fare affezionare il lettore, ma si punta piuttosto a fare molte visualizzazioni occasionali al giorno, riempire le pagine di pubblicità fastidiose.

Il periodo del Covid non ha provocato una precarietà solo dal punto di vista fisico, come dicevo, ma anche da quello economico.

In molti non hanno guadagnato soldi per diversi mesi, senza sapere quando avrebbero ricominciato a farlo.

Una situazione anomala e grave che ha inevitabilmente rammollito il carattere di tanta gente.

Anche adesso, anche a distanza di alcuni anni, l’ombra di quel periodo incombe a livello inconscio su tante persone al punto tale che non si ribellano più di fronte a un’ingiustizia.

È da un po’ di tempo che mi sono accorta di questo atteggiamento.

Perfino nel mio lavoro, sebbene siamo liberi professionisti e paghiamo fior di tasse ogni anno, molti colleghi accettano qualsiasi condizione, anche la più mortificante, pur di non perdere uno straccio di collaborazione.

E, come è facile immaginare, c’è chi se ne approfitta senza nessuna reticenza.

Se tu provi a questionare, sei invitato ad andartene, tanto al tuo posto ne arrivano altri dieci.

È un circolo vizioso alimentato dalla paura di perdere anche quelle poche briciole e ritrovarsi inoccupato.

A differenza di quello che molti temevano in passato, cioè del timore che l’AI potesse ridurre il lavoro, in realtà il settore è stato rovinato dagli stessi esseri umani.

Ed ecco che di punto in bianco emergono e diventano diffusi termini nuovi, anche piuttosto bruttini, come “articolista”, per incoraggiare questa nuova tendenza.

Una cosa è dire redattore, autore di articoli, web writer, copywriter se hai studiato il copywriting, altra cosa è dire articolista, una parola che comunica da subito l’idea di una figura generica, priva di reali competenze.

Un redattore, un autore, un copywriter presuppongono competenza ed esperienza; un articolista puoi pagarlo poco e pretendere condizioni diverse, a volte anche umilianti.

Le parole hanno sempre un potere non indifferente.

Poco importa quanti anni, esperienza e preparazione tu abbia; se io ti chiamo “articolista”, ti appioppo un’etichetta generica, annullo in automatico il tuo curriculum e posso pagarti, di conseguenza, poche briciole, perché diventi più facilmente sostituibile.

E così facendo scrivere, che è un lavoro intellettuale, viene trattato al pari di una catena di montaggio.

La quantità tende a spodestare la qualità; le parole perdono valore, allora ne servono sempre di più; articoli sottopagati lunghi 450, 500, 700 vocaboli e tu ti ritrovi a scriverne tanti al giorno per guadagnare una cifra dignitosa, sacrificando la serietà e l’approfondimento.

Il lettore, infine, diventa un mezzo che ti permette d guadagnare più soldi e non più il destinatario del tuo contenuto.

 
Virna Cipriani