Scegliere le parole giuste

 

Un noto musicista, dopo aver fatto un’analisi armonica delle canzoni del Festival di Sanremo, ha riscontrato una dissonanza fra gli accordi e le parole dei testi in molti brani.

Questa discrepanza ha creato una disarmonia che, chi non s’intende di musica, potrebbe aver percepito in modo inconscio.

Un argomento che mi ha colpito molto e su cui sto riflettendo da un po’.

Vorrei partire proprio da questo concetto per parlare ancora una volta dell’importanza che ha usare le parole giuste.

A volte sentiamo di avere uno scopo nobile, qualcuno può chiamarlo vocazione o missione, che inseguiamo e vogliamo raggiungere a tutti i costi.

E su questo scopo siamo capaci di costruire un’intera vita, senza mai stancarci.

Facciamo conto che questa missione sia una forza, una specie di molla o, potremmo dire, un’energia prorompente che avvertiamo in maniera inconscia.

Le attribuiamo delle parole, le conferiamo una forma precisa scegliendo alcuni vocaboli o espressioni; così facendo questa energia diventa più concreta, evidente e, soprattutto, condivisibile, possiamo comunicarla agli altri.

Cosa succede se scegliamo le parole sbagliate?

Potrebbe creare una disarmonia che, sia noi, sia chi ci ascolta, potremmo percepire anche solo inconsciamente.

Una disarmonia che non capiamo con consapevolezza, ma che può suscitare una reazione negativa, una discordanza fastidiosa.

Non scriverò più che le parole sono importanti, perché è diventato un luogo comune, una frase inflazionata e, per questa ragione, ha perso valore.

Quando ci prefiggiamo uno scopo, dovremmo valutare con molta cura le parole con cui vogliamo esprimerlo.

Se lo scopo è nobile, è portatore di un’energia armonica.

Se lo rivestiamo di parole sbagliate, però, potrebbe creare una discrepanza. .

È il motivo per cui non sono una fan della metafora della guerra o del guerriero, quando si parla di malattia.

Se lo scopo è affrontare una guerra, allora lo hai già raggiunto.

Se, diversamente, è avere un corpo sano, una salute perfetta, dovrebbero cambiare le parole che pronunci.

Nello stesso modo, ci sono tanti scopi nobili che nascondono un’energia armonica, espressi con parole dissonanti.

Negli ultimi tempi, sento sempre più spesso utilizzare espressioni come guerra, lotta, distruggere, scardinare, demolire.

Molte figure di rifermento, per esempio, nella controinformazione, fanno un grande uso di questo linguaggio.

Se come scopo ti prefiggi un cambiamento, un’alternativa a qualcosa, un giornalismo etico, una società migliore, un nuovo genere letterario, tutti scopi nobili, dovresti usare parole adeguate.

Dire: “voglio lottare” o “il mio obiettivo è scardinare” ha come scopo la lotta o lo scardinare. Lo stai già facendo, hai già raggiunto il tuo obiettivo.

Una persona può passare il resto della sua vita a lottare senza accorgersene.

Essere consapevole di questo, ti permette di non provare frustrazione, ma capire che stai ottenendo ciò che ti sei prefisso finora.

Se provi un senso di frustrazione, una crescente insofferenza o delusione, forse perché il tuo scopo e le parole non combaciano.

Samo proprio certi che il nostro obiettivo sia quello di scardinare?

Siamo certi che sia questo lo scopo nobile, l’energia che ci spinge ad agire? O forse dobbiamo trovare nuove parole e metafore, più creative, con cui rivestirla?

Dire, al contrario: “il mio scopo è creare un nuovo modo di fare giornalismo”, “aprire una nuova testata giornalistica che sia etica” o “creare una nuova opportunità per tizio o caio” si pone come scopo tutt’altro.

Demolire vuol dire distruggere. Proprio come scardinare, picconare, lottare, anche demolire suscita la sensazione di una grossa fatica, di perseveranza, di insistenza, procedere a poco a poco, anche per molti anni.

Creare vuol dire “far nascere qualcosa dal nulla”. La sensazione è che può accadere in un attimo, senza fatica.

Distruggere non ha racchiuso in sé una nuova alternativa, una creazione.

E, se invece di demolire qualcosa che già esiste e che potrebbe richiedere molto tempo e fatica per essere distrutto, non voltassimo le spalle, individuassimo uno spazio vuoto, libero e non cominciassimo a creare la nostra creazione proprio là?

Come fare a capire quale sia il tuo scopo reale?

Come spiega il filologo Igor Sibaldi, basta rispondere alla domanda:

“cosa mi piace, davvero?”.

Una domanda tanto semplice quanto complicatissima a cui rispondere.

La risposta a questa domanda ti avvicina all’energia prorompente che avverti come missione, come vocazione.

Un’energia armonica, creativa, legata a intenti piacevoli e quasi mai faticosi.

Troppe volte associamo il piacere a qualcosa di personale ed egoistico, ma qui è inteso com uno scopo più elevato.

Chiudi gli occhi e prova a farti questa domanda. Zittisci la mente. Poi, aspetta che emerga piano piano un’immagine.

Se quell’immagine t suscita un sorriso spontaneo, un crescente entusiasmo allora la risposta coincide con l’energia che avverti.

Del resto, entusiasmo significa “essere ispirato da un dio”.

Potresti scoprire che il tuo scopo non è scardinare il mondo dell’editoria in Italia, ma creare una nuova casa editrice che abbia regole diverse, un concorso letterario particolare, un genere narrativo nuovo, un’accademia gratuita, un programma televisivo che parli di libri e via dicendo.

Una volta messo a fuoco il tuo scopo, i passi successivi saranno più evidenti e condivisibili.

Una cosa è dire agli altri: “voglio distruggere il mondo dell’editoria, mi aiuti?”.

Altra cosa è dire:” voglio creare un nuovo concorso dove…”.

Da “demolitore” puoi diventare un innovatore, un pioniere che inventa la prima edizione di qualcosa; gli altri potrebbero avere più piacere a farne parte.

Puoi partire da uno scopo piccolo o da uno grande e coraggioso e perseguirlo a poco a poco.

Negli anni non avrai usato tempo ed energia per demolire, ma per costruire, mettere mattoncino sopra mattoncino.

Le altre persone, vedendo i mattoni che stanno gradualmente creando le fondamenta e poi le mura di qualcosa, si offriranno spontaneamente di aiutarti a costruire.

Se questo vuol dire cambiare linguaggio a cui siamo abituati, allontanarsi da alcune espressioni a cui siamo affezionati e con cui ci siamo identificati, può costarci fatica.

Se, però, ci accorgiamo che ne vale la pena, allora può essere un nuovo punto di partenza che porterà con sé un’energia diversa.

E un’energia diversa provocherà necessariamente risultati diversi e avvicinerà persone nuove

 
Virna Cipriani