Il Dio dei limiti e il Dio del divenire

 

Non ci facciamo troppo caso, ma parliamo quasi sempre di noi al passato. Ci raccontiamo agli altri ricorrendo al nostro vissuto.

Parliamo perfino a noi stessi pensando al passato.

Non sarebbe bello se a un primo incontro ci raccontassimo le intenzioni per il futuro?

x:” Voglio cominciare un corso di pilates, ottenere una promozione e visitare la Scozia”

y:” Io voglio leggere di più. Poi, desidero vedere più spesso i miei genitori ed entro tre anni voglio scalare l’Everest”.

Daremmo tutta un’altra impressione a chi abbiamo davanti anziché raccontargli le nostre esperienze vissute, i traumi e le ingiustizie subìte.

Rincorriamo il successo che, come dice la parola. è qualcosa di già accaduto, è un traguardo già raggiunto.

Parliamo continuamente del nostro vissuto.

Siamo sempre con la testa rivolta all’indietro, a quello che è già conosciuto.

Così facendo ci sembra di fare tanto e invece, alla fine, rischiamo di agitarci come trottole sempre dentro i soliti, noti confini.

A volte un’intuizione ci coglie di sorpresa e, di punto in bianco, usciamo da binari, posiamo pericolosamente un piede fuori dai confini in territorio sconosciuto.

Poi, però, ci ravvediamo e torniamo sui nostri passi.

L’aver solamente appoggiato quel piede altrove ci ha cambiato i pensieri su di noi, sugli altri, su cosa sarebbe possibile fare, peggio ancora, su cosa ci piacerebbe davvero fare in futuro.

Troppe novità da digerire tutte insieme e allora retrocediamo di un passo.

Capita a tutti di fare così.

E torniamo ai pensieri abituali, alle nostre lamentele così rassicuranti, alle giustificazioni che nel tempo abbiamo affinato così bene che sarebbe un peccato mandarle all’aria.

Il problema è che vivendo in questo modo ci condanniamo a due alternative: adattarci a quel che esiste già o, se non ci piace, provare a contrastarlo.

La libertà di azione che abbiamo è scegliere fra le alternative che qualcun altro ci propone. O A o B. E quante volte diciamo fra i denti:” Scelgo la meno peggio”.

C’è chi sostiene che la realtà percepita sia un’ombra del passato, sia un riflesso dei nostri contenuti psichici, di ciò che abbiamo partorito mentalmente. Sia un pensiero manifesto già pensato.

Pretendere di cambiarla è un po’ come voler modificare lo specchio, perché non ci piace il volto che vediamo riflesso.

Difficilmente scegliamo di voltarle le spalle e guardare da un’altra parte, oltre quei confini noti, come ha fatto Jim Carrey nella pellicola “Truman Show”, proprio grazie a un’intuizione.

Il fatto è che siamo abituati ad affidarci ai sensi, a credere solamente in quello che vediamo.

Non ci fidiamo del nostro sentire interiore. Pensiamo che chiudere gli occhi e immaginare sia cosa di poco conto.

Il Dio creatore e il Dio che limita la realtà

E se ci fosse una terza alternativa?

Non mi piacciono i romanzi che trovo in libreria. Vorrei leggere qualcosa di nuovo, un genere letterario ancora non inventato. Lo invento io! Scrivo io quel romanzo nuovo!

Come prima cosa devo chiudere gli occhi e rispondere alla domanda:” Cosa mi piacerebbe leggere davvero"?

Devo dimenticare quel che esiste già e affidarmi alla mia vista interiore. Non è un caso che lo insegni anche Mary Poppins per entrare nel quadro dipinto sulla strada.

L’autrice, P. L. Travers, era un’iniziata all’esoterismo, non proprio una qualunque.

Si potrebbe obiettare che non sia facile creare cose nuove senza gli strumenti necessari

E se il mondo in cui vivessimo fosse più creativo di quello che siamo abituati a credere? E se, una volta che siamo davvero concentrati su ciò che desideriamo, le risorse, come per magia, arrivassero?

Nel “Libro della creazione” Igor Sibaldi ci racconta una versione diversa della Genesi (dopo averla tradotta dall’ebraico antico) di quella che conosciamo.

Secondo lo studioso nelle versione originale non si parla solamente di un Dio, ma di due divinità: Yahweh (il Signore) ed Elohim (Dio).

Il primo è quello famigliare a tutti, il Dio che vuole conservare la realtà così com’è, quello dei limiti noti e percepibili, mentre Elohim è il Dio creatore, del divenire.

Fin da piccoli siamo abituati a identificare Dio come un vecchio severo e rigido che giudica le nostre azioni, Yahweh, il Dio dei limiti. Guai se usciamo dai binari prestabiliti.

Non ci parlano mai dell’altro Dio, quello che ci incoraggia a crescere. Eh, sì che, come racconta Sibaldi, è proprio lui ad avere creato l’uomo a sua immagine e somiglianza.

Se Yahweh cerca di frenare la nostra crescita e il cambiamento, Elohim ci sprona a trovare il coraggio di andare oltre i confini visibili.

Ci hanno abituato però, chissà perché, a credere solo al primo Dio.

Cominciare a pensare in maniera diversa richiede molto coraggio e un po’ di follia.

Strada facendo, potremmo scoprire che molte cose che abbiamo non ci piacciono davvero, che quello che facciamo non ci appaga o che le persone che abbiamo accanto non siano più adatte a noi.

Insomma, dobbiamo tenere conto di possibili problemi in cui potremmo imbatterci e pentirci di aver cominciato questo nuovo percorso.

A quel punto si tratta di fare appello a Elohim, andare avanti con fiducia e coraggio e restare aperti mentalmente a sufficienza per vedere cosa ci accade.

 
Virna Cipriani