Come contrastare il burocratese o l'antilingua di Calvino

 

Sono giorni stancanti. Certe volte, lo confesso, vorrei chiudere gli occhi e riaprirli quando il trasloco è finito, gli scatoloni svuotati e i miei gatti già ambientati.

Possibilmente, prima dell’autunno.

Amo l’autunno. Penso sia la stagione più casalinga di tutte.

In inverno, la neve e le decorazioni natalizie rendono alcuni borghi e località csì suggestivi che diventa un peccato starsene chiusi in casa.

Ma l’autunno con i suoi colori abbellisce anche le vie più trascurate dei quartieri. Basta aprire la finestra per fare entrare la sua magia.

E stare a casa diventa un vero piacere.

Oggi, mentre navigavo svogliatamente sui social, in una pausa fra uno scatolone e l’altro, mi sono imbattuta in una parola che, lo ammetto, proprio non mi piace, e che leggo sempre più spesso.

Spiegone.

Per curiosità sono andata a vederne l’origine.

Ho scoperto che nasce nel parlato e, pur essendo presente già negli anni Cinquanta, è un vocabolo molto usato in questo periodo.

Come tutti i nomi ottenuti per troncamento del suffisso -zione deriva dal linguaggio giuridico e burocratico.

Ho capito, allora, perché non provo tanta simpatia per questa parola.

Mi ricorda l’antilingua di cui parlava Calvino. il burocratese che ha preso piede negli ultimi anni.

Seduta (al post di “sedia”), quant’altro, problematica, fare riferimento a, visionare e via dicendo.

Parole che in una caserma di carabinieri possono andare bene. O in uno studio legale.

A queste si aggiungono alcune espressioni diventate inspiegabilmente virali.

Scrivo inspiegabilmente, perché sono sbagliate eppure vengono usate male anche da giornalisti e scrittori.

“Piuttosto che” pronunciato con un valore disgiuntivo, al posto di “oppure”.

“La pizza al forno può essere condita col pomodoro piuttosto che bianca piuttosto che con la nutella”.

“Piuttosto che” va usato al posto di anziché. Non in altri modi.

“Preferirei fare una maratona di 5 km piuttosto che stare in ufficio a lavorare”.

Così come si dovrebbe scrivere “entrarci” e non “c’entrare”. e tantomeno “centrare” che ha tutt’altro significato.

O ancora “assolutamente sì” o “assolutamente no”. Basta dire sì o no.

Sarebbe sufficiente ricorrere a una piccola regola: la semplicità, specie nel web.

Usare un linguaggio il più possibile discorsivo con parole semplici, senza cercare di complicarsi la vita con paroloni ricercati.

Va bene dire “casa”, non occorre scrivere “abitazione”. O ancora “vedere” anziché “visionare”.

I paroloni stancano e rallentano la lettura.

Se non vogliamo fare torto al lettore dovremmo optare per frasi brevi (o almeno con qualche virgola che gli conceda delle pause), pochi avverbi e una scrittura semplice.

 
Virna Cipriani