La comunicazione in un mondo multietnico e globalizzato

 

Se si vuole toccare con mano la metamorfosi del nostro paese di questi ultimi anni non si dovrebbe, a parer mio, guardare quei talk show televisivi dove tutti parlano insieme e nessuno ascolta. Si dovrebbe, invece, girovagare nei mercatini dell'usato.

I mercatini dell'usato sono spuntati come funghi un po' ovunque, di pari passo con i cambiamenti sociali e culturali. Sono tanti. Dei grandi spazi, ospitati quasi sempre nei prefabbricati, traboccanti di cose e di persone. Un mosaico di colori, forme e voci che ti accoglie con il suo caratteristico brulichìo. Molto diversi dai nostri piccoli negozi di paese, ma a loro modo pittoreschi.

Ogni tanto c'è una signora che sbuffa malinconica e rimpiange il passato, ma poi la si ritrova, quasi certamente, nascosta nella corsia dei libri usati, col naso tuffato tra le pagine ingiallite. Perché, in fondo, risparmiare qualche euro fa comodo un po' a tutti.

I mercatini dell'usato sono crocevia di culture che convivono pacificamente. Quando cerco un soprammobile particolare, io vado a farmi un giro là. Mi diverto a gironzolare tra gli scaffali stracolmi, lungo i corridoi di mobili incastrati a tetris. E quasi mi pare che quel brusio di sottofondo provenga dagli oggetti che mi guardano e confabulano al mio passaggio.

Sottobicchieri in rame, ciotole di ottone, schiaccianoci di legno e portasigarette metallici costretti a condividere spazi microscopici. Brocche di peltro sistemate accanto a floreali tazzine in porcellana cinese. Un vecchio macinacaffè che si contende l'attenzione dei clienti con la caffettiera turca. Una moltitudine di oggetti con un passato diverso e radici lontane.

Dalla porta d'entrata dei mercatini, con un'occhiata sola, puoi abbracciare tutti i cambiamenti che hanno scompigliato il nostro paese dagli anni '90 in poi.

La comunicazione in un mondo multietnico e globalizzato

Anche la comunicazione è mutata. Non solo perché siamo diventati una società multietnica, ma anche perché usiamo internet. Quando parliamo di comunicazione, diamo più importanza a chi comunica il messaggio e meno a chi lo ascolta. In un dialogo efficace, invece, il destinatario ha un ruolo attivo tanto quanto quello dell'emittente.

La nostra è una società complessa ed è sempre più facile scivolare sulla china dell'incomprensione, specie se chi parla (o scrive) e chi ascolta (o legge) hanno background culturali diversi. Questo perché noi tendiamo a interpretare il messaggio in base alle nostre credenze e ai nostri valori.

La studiosa Vera Gheno, nel saggio Potere alle parole, racconta un episodio davvero illustrativo. Una volta ha rivolto dei complimenti, in maniera spontanea e ingenua, alla pettinatura di una ragazza afroamericana. Per tutta risposta si è sentita dare della razzista. Come mai? Tempo dopo l'autrice ha scoperto che per alcune culture i commenti, anche se positivi, sull'aspetto fisico o sul look, in particolar modo quelli che ricordano l'origine di una persona, sono reputati razzisti e offensivi.

Un tempo la comunicazione era a senso unico. La tv, o il giornale, diceva la sua e tu, spettatore o lettore, ascoltavi senza poter controbattere. Per giunta potevi trascorrere una vita intera, o quasi, a parlare con le stesse poche persone, quelle della tua cerchia di amici e familiari. Imbattersi nella diversità di vedute era davvero raro.

Oggi invece capita sempre più spesso d'incontrare chi la pensa diversamente da noi e, attraverso i social, te lo può comunicare.

E i fraintendimenti sono all'ordine del giorno, perché non abbiamo ancora imparato a fare i conti con questo cambiamento.

C'è chi protesta, perché si vede costretto ad adottare un atteggiamento politicamente corretto, e quindi ipocrita.

Io penso, al contrario, che dobbiamo soltanto imparare ad avere più sensibilità. E che la nostra società, oltre a essere più complicata di prima, deve iniziare a diventare più empatica di prima.

Comunicare in modo consapevole e responsabile

Cosa comporta questa cambiamento? Il bisogno di una nuova consapevolezza. Dobbiamo diventare responsabili del messaggio che vogliamo esprimere e delle parole che scegliamo per comunicarlo.

Quando s'inizia a scrivere in modo consapevole, e non meccanico, come conseguenza si comincia a parlare e a pensare con consapevolezza.

Occorre valutare che i nostri destinatari sono cambiati e forse non hanno più il volto ben definito che credevamo. E quando mi capita di parlare con qualche nostalgico, sorrido tra me e penso: "Se il paese sta cambiando, beh tutto sommato vuol dire che è un paese vivo".

Sono convinta che dovremmo arrivare ad assumere un approccio più descrittivo, proprio come fanno i linguisti con la lingua italiana. E cioè, dovremmo osservare e prendere atto dei cambiamenti intorno a noi, perché vuol dire che la società, proprio come la lingua, non è morta, ma semplicemente in evoluzione.

E chi è in grado di intuirlo e di accettarlo, prima degli altri, probabilmente riuscirà a comunicare e a coinvolgere in maniera efficace un pubblico più vasto.