Di piccoli premi, rapporti causa-effetto e letture gratificanti
Sono giornate piuttosto faticose. Mi trascino dal pc agli scatoloni nel mio sottotetto che in estate si trasforma in una capanna sudatoria.
Da tempo ho imparato a premiarmi, quando devo affrontare un momento complicato, che sia una prova, un trasloco o un lavoro impegnativo.
È un modo per spronarmi ad andare avanti con più energia.
Se ho una scadenza pesante, dopo aver consegnato il lavoro, mi regalo un libro. Se devo incontrare una persona sgradevole, mi premio con una passeggiata in collina.
Stavolta devo inventarmi un’adeguata gratifica, penso mentre dalla finestra della vicina riparte per l’ennesima volta “Vorrei avere il becco” di Povia e Leo, il mio gatto, miagola lamentoso.
Non credo sia un caso che in questi giorni stia leggendo “Fanny Stevenson” di A. Lapierre, la storia del grande amore di Robert Louis Stevenson, ma soprattutto di una donna incredibilmente forte e coraggiosa.
Mi rendo conto di aver voglia di leggere storie avventurose, meglio ancora se di donne fuori dall’ordinario. È un modo, forse, per compensare la sedentarietà di questi giorni.
Il rapporto causa-effetto nelle storie
Il nostro cervello ragiona perlopiù per causa-effetto. È la sua strategia per semplificare le innumerevoli informazioni che gli arrivano e renderci la vita più semplice.
Quando ci accade qualcosa, domandarci “perché?” e cercare una causa nel passato ci viene naturale.
In realtà, l’autore Sibaldi sostiene che la vera causa di ogni evento vada cercata nello scopo, nel futuro, ma questa è un’altra storia.
Scrivere un rapporto causa-effetto in una narrazione non è affatto semplice come potrebbe sembrare.
Aline Brosh McKenna, sceneggiatrice della commedia “Il diavolo veste Prada” ha spiegato come delle scene di una storia dovrebbero essere sempre collegate da un "perché” e non da un “e poi”., cioè dal rapporto causa-effetto e non da sole informazioni.
È come se ci presentassero un evento strano, poi un uomo che si ritrova dentro un’auto con una sconosciuta e poi lo vediamo vicino a un anziano che raccoglie la frutta nel giardino.
Un mucchio di informazioni separate che non hanno un filo logico.
Secondo alcuni esperti di storie e scrittura creativa, la differenza fra i romanzi di qualità e i libri commerciali sta proprio nell’uso sapiente del rapporto causa-effetto.
Mentre nei secondi il cambiamento viene raccontato quasi sempre in modo veloce e semplice, a volte banale, nelle letteratura di qualità il cambiamento è lento, poco chiaro e costringe il lettore a fare un piccolo sforzo in più per fare i collegamenti logici.
Quando ci riesce, di solito si sente gratificato.
Se l’autore di un romanzo sarà in grado di raccontare un cambiamento, disseminando indizi sottili ed enigmatici, così da rendere il rapporto causa-effetto un vero rompicapo che porterà il lettore a riflettere per settimane intere, allora avrà fatto centro.
Non sarà stata una lettura vuota e superficiale.
Come narrare la causa-effetto senza sbagliare?
Meglio ricorrere alla classica tecnica del “Show, don’t tell”, mostra non raccontare e si va sul sicuro.
Il rapporto causa-effetto andrebbe cioè mostrato, suggerito al lettore, e non raccontato, dando solo mere informazioni o, peggio, ancora spiegato, come se il lettore fosse un cretino.
Altrimenti, sparirà la curiosità di continuare la propria lettura.
Il lettore, invece, ama indagare, capire, interpretare, mettere insieme i vari tasselli, prevedere cosa accadrà e cercare da solo delle spiegazioni del perché è successo quello che è successo.
Ecco il suo premio, dopo pagine e pagine di lettura. Una volta che avrà trovato le sue spiegazioni e avrà unito tutti i puntini, si sentirà davvero gratificato.