Il potere delle parole esistenti e di quelle inesistenti

 

Da diversi giorni la mia sveglia è puntata alle 5.30.

Il lavoro è aumentato e va ad aggiungersi alle altre incombenze della giornata.

Determinata a portare a termine ogni cosa e a smaltire la montagna di impegni di questo periodo, m’impongo di alzarmi due ore prima del mio solito e guadagnare tempo (eh…).

Per fortuna amo il mio lavoro e non mi costa fatica sedermi al PC e scrivere migliaia di parole ogni giorno.

Amo la scrittura a tal punto che, una volta finita la giornata, mi ritrovo spesso a sfogliare libri di grammatica, scrittura creativa o di linguistica.

Più studio le parole e più ne sono affascinata.

Gran parte della gente le usa senza capirne davvero il valore, le butta via, arrivando a volte anche a maltrattarle (basta vedere le castronerie diffuse nel web).

Come sostiene il linguista Giuseppe Antonelli: “le parole sono pietre. Pietre che rotolano nel tempo e intanto s’impastano di storia, trattenendo un poco di ogni epoca”.

Le parole raccontano tanto della persona che le usa, di un paese e della sua cultura. Anche la mancanza di parole dice molto di un luogo.

Nella lingua italiana, per esempio, non esiste un vocabolo per indicare un genitore che ha perso un figlio.

Esiste il termine “orfano”, esiste “ vedovo”, ma non c’è una parola che indichi un padre o una madre che ha perso un figlio, come se il dolore fosse così grande da non poter essere racchiuso in un vocabolo.

Anche l’uso delle metafore racconta molto della cultura di un paese, nessuno come George Lakoff lo ha spiegato così bene.

Nella nostra cultura, per esempio, consideriamo il TEMPO come DENARO:

  • Non farmi perdere tempo

  • così facendo risparmierò alcune ore

  • questo lavoro mi è costato un’ora

  • vale il tempo che ci perdi

  • ho sprecato molto tempo per te

  • hai esaurito il tempo a disposizione

Il tempo per noi è una risorsa limitata, come una merce pregiata che ha un costo, può essere venduta e scambiata.

È una metafora talmente radicata in noi che non ci accorgiamo delle tante occasioni in cui calcoliamo il tempo come denaro.

Negli scatti delle telefonate, nelle buste paga, nelle retribuzioni a ora, nelle tariffe delle camere d’albergo, e così via.

Ma il tempo è un concetto astratto molto più profondo e complesso da definire.

Un’altra metafora che la dice lunga sulla nostra cultura è quella che associa la DISCUSSIONE a una GUERRA:

  • Ho attaccato ogni punto debole del tu ragionamento

  • Difendo la mia posizione

  • Cosa vuoi dirmi? Spara!

  • Hai distrutto tutti i miei argomenti

  • Hai colpito nel segno

Noi viviamo la discussione come fosse una battaglia faticosa; l’interlocutore diventa un nemico da vincere e non ce ne accorgiamo neppure.

Le parole influenzano profondamente il nostro pensiero e il modo in cui affrontiamo le nostre giornate.

Basta stare ad ascoltare con attenzione qualcuno per capire il suo approccio alla vita.

Eppure sarebbe sufficiente cambiare parole per cambiare il nostro modo di pensare e di conseguenza anche l’approccio alla realtà.

Certo, richiede impegno e uno sforzo di volontà non da poco; dovremmo diventare consapevoli del nostro linguaggio abituale, scegliere di proposito parole diverse e non sempre vogliamo fare fatica.

Siamo più concentrati a scegliere la pizza da ordinare o la serie TV su Netflix che le parole che usiamo, quando scriviamo o parliamo.

Viviamo lo scrivere e il parlare come qualcosa di automatico e inconsapevole, perché non ci soffermiamo mai abbastanza sull’influenza che le parole hanno, su di noi e sugli altri.

 
Virna Cipriani