La bellezza della semplicità

 

Amo i fiori e le piante semplici dalle linee pulite e i contorni definiti, come i tulipani, le calle o i cipressi con le loro chiome composte. Sono rassicuranti nella loro bellezza discreta e misurata, non hanno bisogno di tanti petali, di aperture ed estensioni esuberanti.

Penso sia sottovalutata la semplicità. Un’ortensia o una peonia non passano mai inosservate, ma l’eleganza semplice di una calla richiede attenzione.

Le imprese semplici sono le più difficili da realizzare. Si dice da sempre. Una pasta al pomodoro ha bisogno di ingredienti genuini e di maestria.

Più qualcosa è semplice e più la nostra razionalità si paralizza, va in tilt, vuole complicare e s’interroga: ”dov’è la sfida? La battaglia?”. Ritiene che non si possa provare piacere senza la fatica.

Le storie d’amore più belle devono essere complesse e conflittuali, dicono, altrimenti manca la passione. Come se voler bene non fosse abbastanza.

“Ti amo” è una frase che ha dei limiti intrinseci. Tanto per cominciare va rivolta a una persona alla volta. E poi ha una data di scadenza. Finita la relazione, non si ama più quella persona.

“Ti voglio bene” vuol dire “io voglio il tuo bene”. Ha talmente tanto amore racchiuso in sé che puoi rivolgerla a più persone, al tuo compagno, a un genitore, a un amico, al gatto senza correre il rischio che si esaurisca.

E non ha date di scadenza.

Puoi voler il bene di qualcuno anche quando un rapporto s’interrompe.

È una frase semplice e sottovalutata in amore. Si pensa che sia banale, eppure non è traducibile in altre lingue. Puoi dire “ti amo”, ma non riesci a trovare l’equivalente di “ti voglio bene”.

Il confine tra banale e significativo è sottilissimo. La differenza la fa la cura che si ha.

L’efficacia comunicativa della semplicità

Lo stesso vale per la scrittura. Le frasi semplici richiedono più cura. Le parole sono poche, su di loro ricade tutto il peso del messaggio che vuoi trasmettere.

Quando si aggiungono aggettivi e avverbi è perché non si è così sicuri di quel che si è scritto, del nome o del verbo scelto.

Si crede erroneamente che la semplicità sia elementare o, peggio ancora, puerile, che aggiungendo vocaboli e ancora vocaboli il testo diventi più pomposo e ricercato.

In realtà, l’eleganza di un testo si ottiene grazie all’utilizzo accurato delle parole e non alla sua lunghezza.

Nello scritto semplice prevale la forza dell’idea. Se hai un’immagine mentale precisa sei in grado di trovare le parole migliori per trasmetterla al lettore.

Certo, devi soffermarti il tempo necessario.

L’ausilio dell’arte medica, lenimento e pezzuole, dissimulò in parte l’orrore. Si udiva il residuo d’acqua ed alcool delle pezzuole strizzate, ricadere gocciolando in una bacinella ed alle stecche della persiana già l’alba. Il gallo improvvisamente la suscitò dai monti lontani perentorio ed ignaro come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita.

La conclusione del romanzo di Gadda “La cognizione del dolore” ha fatto storia. Bastano queste poche righe per capire l’immensità di uno scrittore che misurava parola per parola.

Con pochi vocaboli l’autore milanese è riuscito a risvegliare più sensi: l’udito, l’olfatto e la vista. E poi, la scelta di utilizzare i verbi “suscitò” ed “elencare” al posto dei prevedibili anticipare e illuminare.

Gadda scriveva e correggeva, pubblicava e poi riprendeva in mano i suoi scritti. Un lavoro certosino e instancabile, che dovremmo imparare a imitare anche noi che non abbiamo un granello del suo talento.

Provo sempre una fastidiosa frustrazione quando un committente mi chiede di scrivere 1000 parole in un giorno.

Da questa richiesta si capisce quanto poco consideri il mio lavoro.

La qualità della scrittura richiede tempo, ma ne vale la pena. Poi, i risultati sono più soddisfacenti, sia per chi scrive il testo, sia per chi lo pubblica.

Degli strumenti imprescindibili quando si vuole scrivere bene, sono i dizionari (dei sinonimi e contrari e delle collocazioni), il tempo e tanta pazienza. La voglia di ricercare la parola che più si avvicini all’idea che desideriamo comunicare all’altro.

 
Virna Cipriani