Quando la ragione sconfina nella creatività

 

Mi sono accorta che le imprese più clamorose, almeno ai miei occhi, le ho realizzate tutte le volte che non ci ho ragionato troppo sopra.

Ho assecondato l’ispirazione di un momento, da quando è affiorata alla sua concretizzazione, restando per tutto il tempo in apnea, per il timore che arrivasse un’interferenza esterna a disturbarla.

Mi sono affidata a una sensazione, intima e irrazionale, che fosse una strada da percorrere fino alla fine. E ogni volta, puntualmente, si è rivelata un’intuizione giusta. I risultati sono stati inaspettati.

Negli anni mi è capitato innumerevoli volte. Dovrei aver imparato a spegnere la ragione e a fidarmi di questa sensazione. Eppure, ci cado ogni volta. Messa di fronte alla stessa impresa, permetto alla ragione di intervenire. E di sciupare tutto.

Un po’ come quando si apre la scatola di un farmaco di corsa, senza rifletterci troppo, e si indovina sempre il lato giusto. Poi, la seconda volta, ci si ferma a pensare un secondo in più e ci si ritrova il bugiardino tra le mani.

Il momento esatto in cui realizzo quello che sono riuscita a fare, spuntano fuori le aspettative, le pressioni e i timori a incrinare le mie certezze. A convincermi che è stato un colpo di fortuna, che non è possibile ripetere gli stessi risultati, che devo fare di più e meglio.

E alla fine capitolo. Se ho scritto di getto un contenuto brillante di sole 200 parole e ha ottenuto risultati inaspettati, il secondo lo devo scrivere più lungo e più ricco, perché i lettori si aspettano di più.

Arrivo a sentirmi un’impostora che ha la pretesa di ottenere le stesse soddisfazioni senza fare di più.

Quel di più, però è un’esigenza della mia ragione che, sì, sarà anche competente nel gestire i miei soldi e mettere in ordine le varie scadenze, ma in fatto di creatività ne sa ben poco.

E quel che accade è che la stessa impresa, che prima avevo affrontato con leggerezza e divertimento, viene poi appesantita dall’ansia, dalle aspettative e da tensioni inutili.

Io non provo più piacere e, in una maniera o nell’altra, la mia agitazione arriva all’altro.

Quando bastava solo lasciare le cose com’erano.

Come se quell’impresa, nata in maniera intuitiva e portata avanti in modo spontaneo, fosse priva di spina dorsale e avesse bisogno per forza di una struttura per reggersi in piedi.

Non c’è da sorprendersi. La ragione parla il linguaggio dei numeri, quantifica, ordina e organizza. È brava nel lavoro, quando si tratta di correggere o scrivere elenchi.

La sua conoscenza, però, comincia e finisce là.

Troppe volte ho ritenuto i numeri più affidabili delle sensazioni, specie quando si trattava di imprese creative.

Così facendo, ho perso per strada il lato più empatico ed emotivo. E, cosa non da poco, il divertimento nel fare le cose.

 
Virna Cipriani