Il mondo che percepiamo è un'allucinazione
H. 16.00. Sono bagnata fradicia, ma felice, perché finalmente ho tra le mani il romanzo sulle sorelle Brontë.
Sono quei giorni dell’anno in cui gli ultimi scampoli dell’estate cercano di resistere all’incedere dell’autunno.
Indovinare il momento ideale per uscire è un’impresa ardua e quando credi di avercela fatta, c’è sempre la nuvola di Fantozzi appostata dietro l’angolo ad attenderti.
Perché amo tanto leggere?
Perché posso vivere le vite di altri, posso adottare prospettive diverse dalla mia e imparare nuove cose.
Lo ha spiegato meglio Erri De Luca.
Questo è quello che io cerco nei libri quando li apro, il pezzetto che è stato scritto per me, che mi spiega qualcosa di me. Qualcosa che possedevo già sotto pelle, ma che non sapevo…
Ma oggi leggevo una spiegazione ancora diversa, espressa da un neuroscienziato.
A differenza della vita reale, le storie ci permettono d’intrufolarci nella mente di altri, dei personaggi, e di capirli.
I romanzi ci offrono l’occasione di vedere il “perché” le persone fanno ciò che fanno.
A quanto pare, il nostro cervello è incredibilmente affascinato dalle dinamiche di causa-effetto sugli altri.
Non basta. Le storie sono una ghiotta via d’uscita alla nostra percezione abituale della realtà, una specie di allucinazione nell’allucinazione.
Il mondo che percepiamo è un’allucinazione
Credere ancora che il mondo che noi percepiamo sia qualcosa di oggettivo che sta là fuori è davvero illusorio.
Di fatto, è piuttosto una ricostruzione della realtà che avviene nella nostra testa.
Entriamo in un locale. La nostra mente prevede cosa potrà aspettarsi da quel luogo, come ci dovrebbe apparire, i suoni, gli odori, le sensazioni e poi darà forma a un’allucinazione coerente con questa previsione.
E sarà proprio questa allucinazione che noi vivremo come realtà fisica.
Ognuno sperimenterà la propria personale ricostruzione allucinatoria del locale.
È impossibile fare esperienza della realtà vera.
Da qui non si scappa. Noi viviamo all’interno dell’dea che abbiamo del mondo, di cosa ci aspettiamo sia. Dal nostro aspetto, ai luoghi, perfino i comportamenti degli altri sono frutto di una nostra aspettativa personale.
I nostri sensi hanno l’incarico di raccogliere indizi della realtà esterna sotto forma di segnali chimici, onde luminose, cambiamenti nella percezione dell’aria.
Informazioni che saranno poi tradotti in impulsi elettrici e usati dal nostro cervello per costruire la nostra realtà. E noi avremo l’impressione che questa allucinazione sia reale e oggettiva.
All’interno della nostra realtà personale, il rapporto causa-effetto gioca un ruolo cruciale, perché permette al cervello di dare un significato a quel che accade, così come succede nei sogni.
Quando dormiamo i sogni ci sembrano reali, perché si basano sullo stesso modello allucinatorio in cui viviamo da svegli.
Il nostro cervello deve interpretare in qualche modo l’intensità delle attività neurali causate dal nostro stato di temporanea immobilità. Per farlo, darà forma a un modello di mondo e si racconterà una storia basata su causa-effetto, proprio come accade quando siamo svegli.
Se nel sonno abbiamo un’improvvisa contrazione muscolare, il cervello creerà l’allucinazione che stiamo cadendo nel vuoto o che inciampiamo per strada.
Quando siamo intenti a leggere, più o meno accade la stessa cosa. Le lettere di una pagina scansionate dagli occhi arrivano al cervello sotto forma di impulsi elettrici che lui userà per assemblarli in un modello allucinatorio.
Se la pagina parla di un rustico con le finestre rosse, il cervello ci farà visualizzare un’immagine mentale di quel rustico. Cioè, ricostruirà il modello di mondo che in origine aveva immaginato lo scrittore.
Più l’autore sarà bravo a descrivere con minuzia i particolari e più il nostro cervello ci restituirà un’immagine mentale vicina alla sua.
Ecco, perché è importante scrivere bene, con chiarezza e in modo corretto. Per permettere al lettore di ricostruire un mondo immaginario meno confuso e più vicino a quello di chi scrive.
In questa ottica, come sostiene lo studioso Bergen, la grammatica agisce come un regista dicendo al cervello cosa dovrà immaginare, su quali forme dovrà focalizzarsi, il grado di precisione dei dettagli e così via.
Se lo scrittore sarà bravo a presentarci il protagonista e la sua storia, noi riusciremo a uscire temporaneamente dalla nostra allucinazione del mondo per entrare nella sua allucinazione, nel suo modo personale e unico di percepire e di rapportarsi con il mondo.