La semplicità per dare valore alla parola
Finalmente una domenica lenta dopo tanto tempo. Nessun operaio nei dintorni, poco lavoro, neppure un impegno; ho potuto passarla a fare quello che più amo: scrivere e studiare.
È il mio modo per ricaricare le pile in vista di una nuova settimana frenetica.
L’aroma di rosmarino nella stanza, la musica di sottofondo, un buon libro, il mio PC e io sono felice.
Mentre leggevo un testo dello scrittore Giuseppe Pontiggia, mi è rimasta impressa una frase in particolare: “La parola isolata, priva delle inflessioni orali, ha una sua povertà”.
La parola viene letta quando ci troviamo in uno stato di tranquillità.
Se ascoltiamo qualcuno parlare, siamo coinvolti emotivamente, veniamo suggestionati dall’espressione del suo viso, dal linguaggio del corpo.
Mentre leggiamo un testo scritto, invece, ci siamo solo noi e la pagina; diventiamo dei giudici molto più severi e obiettivi.
Per questa ragione, un messaggio scritto deve funzionare di per sé.
Se, però, non nasciamo grandi scrittori, possiamo comunque imparare a scrivere bene con lo studio.
Secondo Benedetto Crocce la tecnica è come una specie di diaframma tra l’intuizione e l’espressione.
E per migliorare come autori si può imparare dai grandi.
Kafka riteneva che le prime idee che saltano in mente fossero sempre sbagliate.
Si dovrebbe prendere le distanze dall'argomento, lasciarlo sedimentare, altrimenti si corre il rischio di adagiarci sui luoghi comuni.
La semplicità è sempre vincente nella scrittura
“Cielo azzurro” è un cliché per esempio. Molto meglio scrivere “cielo”. Preciso ed efficace.
La parola, nuda e cruda, è più espressiva rispetto a una combinazione di più aggettivi o avverbi generici.
L’aggettivo andrebbe usato soltanto se necessario, se aggiunge qualcosa, altrimenti no. Se non aggiunge, l’aggettivo toglie. Toglie valore alla parola.
“Incredibile”, per esempio, è tanto inflazionato quanto insignificante. “Ho cenato in un ristorante incredibile” o “Ho passato una vacanza incredibile”. Non provoca l’impressione che vorrebbe, non ci stupisce.
Più si deprezzano le parole e più si sente l’esigenza di aggiungerne e aggiungerne ancora. È come se pochi termini non bastassero.
Anziché rimpinzare una frase di parole vuote, occorre trovare quelle giuste, che siano più espressive.
Ogni vocabolo, andrebbe scelto con cura; anche i nomi propri, perché sono pieni di significato, le vocali sono evocative.
C’è un esperimento di cui parla Pontiggia in cui i ricercatori hanno mostrato degli oggetti alle persone e chiesto loro se fossero PIC, POC o PUC.
Tutti hanno risposto sempre nello stesso modo, a dimostrazione che le vocali, da sole, evocano e possono avere un significato (lo sapeva bene Fosco Maraini).
Anche gli avverbi andrebbero dosati, specie se non dicono niente, come “assolutamente”, “estremamente” o “incredibilmente”.
Infilarli in una frase vuol dire spostare l’attenzione del lettore dagli altri vocaboli a loro.
Restituire il valore alla parola vuol dire dedicarle del tempo, sceglierla con cura; significa non scrivere in maniera precipitosa e distratta.